E' oggi la riproposta di LOURDES di Jessica Hausner. Uno dei più bei film visti quest'inverno. Se vi capita di vederlo in un cinema estivo non lo perdete!
E’ la storia di Christine, costretta sulla sedia a rotelle per buona parte della sua vita a causa di una sclerosi a placche, del suo viaggio a Lourdes e della sua (probabile) guarigione miracolosa.
Un bel film, a differenza di tanti mediocri film austriaci, permeato di una sensibilità tipicamente austriaca [si veda come non plus ultra di ciò: Hundstage (La Canicola) di Ulrich Seidl del 2001].
Soprattutto negli interni si palesa il gusto peculiarmente austriaco (infatti gli interni sono stati girati in una casa dello studente a Vienna).
Ma a parte queste considerazioni, credo che a fare un film così ci voglia coraggio, tenuto conto che il tema non è facile e la riuscita del film si gioca molto sull’interesse che suscitano i dialoghi e sull’austera e puntuale linearità della regia.
Dove il film si fa estremamente godibile è nelle scene di grandiosa coralità degli esterni, a Lourdes, dove l’individualità degli austriaci, la cui analisi è il vero tema del film, si perde e si confonde nel numero di coloro che cercano speranza in un luogo diviso fra il sacro ed il luna park.
I personaggi sono ben caratterizzati, con una precisione che mi rammenta quella di scrittori giapponesi come Kawabata o Tanizaki. Il film è disseminato di pulsioni invidie gelosie voglie tipicamente umane che danno luogo ad attriti, incomprensioni e desideri corporali che male si giustificano in un luogo votato alla santità ed al miracolo. La regista tratteggia veramente bene queste situazioni tanto da rendere in maniera adeguata il senso di disagio che provoca l’isolamento di una persona malata rispetto al mondo dei sani.
Il pellegrinaggio che la Hausner mostra è un pellegrinaggio per ricchi. Un viaggio verso la speranza fatto di confort e comodità, per i malati di una società opulenta (qual è quella austriaca) che li tollera ma non è in grado di amare e di cui si fa carico perché è anzitutto un dovere sociale prima che cristiano. E questo appunto sembrano voler dire i frequenti sguardi di rancore le mancate comprensioni i mai presenti slanci di affetto che punteggiano il contatto umano dei personaggi del film. Il film diventa a maggior ragione interessante in virtù di questi modi freddi, bruschi ed austeri di dipingere i personaggi.
Dal malore improvviso della suora capogruppo sembra nascere, per trasmigrazione, il miracolo che era già stato anticipato dai sogni di Christine e della stessa capogruppo.
Il miracolo avviene, ma il film non è capace di commuovere perché il miracolo ha luogo in quadro asettico, freddo, privo di emozioni, assolutamente meccanico, disumano (sarei tentato di dire) generato dal dubbio del contatto umano e dalla malignità di chi viene escluso dalla "Anerkennung", riconoscimento del proprio ruolo all’interno del gruppo.
Il film riflette bene lo spirito del popolo austriaco, dove l’individuo è completamente isolato nel suo egoistico modo di vivere, nel suo altrettanto egoistico desiderio di comodità, nella freddezza del vivere che genera anche la bruttura del vivere, che si rivela nella mancanza di emotività, nel modo trasandato del vestire, nell’ esser incapace di comunicare, nei silenzi, nel modo sommesso di parlare e di celebrare, nei colori smorti degli arredi, nel modo ordinato e quasi maniacale del vivere, nella sufficienza dei rapporti umani, nel continuo bisogno di conferma del proprio ruolo.
Il finale (bello, come quelli di una volta quando si facevano i film per far riflettere) è giocato su un bellissimo paradosso: il dubbio e la paura di ricaduta nella malattia da parte di Christine durante il ballo che dovrebbe festeggiare la sua guarigione e le note della canzone “Felicità” di Romina ed Albano che dovrebbe invece celebrare l’apoteosi del miracolo.
Complimenti all’attrice, Sylvie Testud, che è brava davvero e alla regista, Jessica Hausner che è riuscita a produrre un film bello e che (particolare da non trascurare) fa pensare.